A PARTIRE DA UN ERRORE

    A PARTIRE DA UN ERRORE

    Qualche anno fa, durante uno dei nostri corsi estivi, una ragazzina di prima media ha scritto una riflessione che mi ha colpita moltissimo: “Ho imparato che quando copio da qualcuno devo essere sicura di non copiare anche i suoi errori!”.  Questa riflessione, solo in apparenza banale, sottintende in realtà una considerazione importantissima: copiare è una strategia, ma bisogna usarla con intelligenza… e l’intelligenza sta anche nel riconoscere l’errore, imparare da esso ed evitarlo.

    Quando utilizziamo la parola ERRORE talvolta lo facciamo impropriamente. E’ pratica molto diffusa infatti confondere il termine “errore” con il termine “sbaglio”.

    Anche solo facendo un’analisi etimologica ci accorgiamo che essi hanno derivazioni completamente diverse. SBAGLIO deriva infatti dal latino balium , che accompagnato dal prefisso  “s” significa letteralmente ‘senza luce’. Tale termine indica una condizione occasionale, una disattenzione momentanea. ERRORE invece deriva dal latino error -oris, cioè ‘vagare qua e là’, e sottolinea una condizione sistemica, stabile e duratura, generalmente causata da una mancanza di conoscenza.

    Per chiarire la differenza fra i due termini vi propongo un esempio molto semplice.

    Un bambino potrebbe non avere il tempo di finire una verifica perché ha lasciato il proprio orologio a casa o perché, preso dalla foga di terminare il compito,  ha accidentalmente dimenticato di controllare l’ora. In questo caso si tratta di uno SBAGLIO, cioè di un evento momentaneo, una disattenzione. Se invece il bambino non ha avuto il tempo di finire la verifica perché non sa leggere l’ora, siamo di fronte ad un ERRORE, cioè alla mancata conoscenza di come si misura il tempo.  Lo sbaglio dunque è solo uno sbaglio, l'errore è invece collegato alla costruzione della conoscenza e alla consapevolezza.

    Quando si osserva un ragazzo mentre sta apprendendo è necessario tenere a mente la differenza fra  i due concetti, questo aiuta infatti a comprendere il funzionamento della persona, consente di  indirizzare la mediazione in maniera mirata e corretta e permette di far acquisire al bambino la consapevolezza sul proprio modo di funzionare.

    Proviamo a fare un esempio.

    Mi trovo di fronte un bambino che esegue una moltiplicazione in colonna e mi accorgo che il risultato non è corretto. Ho due opzioni:

    1. faccio semplicemente rifare al bambino l’operazione (o peggio la rifaccio io per lui) finché risulta corretta, poi procedo con gli esercizi successivi;
    2. chiedo al bambino di osservare attentamente e in maniera sistematica l’operazione che ha appena svolto, come se fosse un radar a caccia dell’errore. Se necessario lo aiuto a trovarlo e a riflettere sulla causa che lo hanno determinato. Si tratta di un problema di calcolo dovuto a distrazione (SBAGLIO)? Si tratta di una scarsa memorizzazione della tabellina (ERRORE)? Il bambino ha copiato male i numeri (SBAGLIO)? C’è un problema nella procedura di incolonnamento (ERRORE)? Solo dopo aver fatto questo lavoro certosino di autoriflessione, gli faccio rifare l’operazione.

    Se agisco nel primo caso il risultato sarà un’operazione corretta (obiettivo di performance) ma che non presuppone necessariamente un incremento di conoscenza nel bambino (lavoro sui processi cognitivi).

    Se al contrario agisco come nel secondo caso otterrò sia un obiettivo di performance (correzione dell’operazione) che un obiettivo di capacità, poiché avrò aiutato il bambino a sviluppare un pensiero riflessivo, ad imparare a riconoscere i propri errori ripercorrendo i procedimenti, a correggerli e a comprenderne le cause per poterli evitare in futuro. L’errore infatti è parte del processo di apprendimento, non è una colpa ma piuttosto è “la chiave d’accesso alla comprensione del percorso cognitivo del bambino” [Lucangeli D., 2019]  e pertanto esso dev’essere assimilato, elaborato e restituito.

    Il consiglio che vi diamo è dunque quello di non limitarvi a giudicare o a conteggiare le inesattezze dei ragazzi, ma di aiutarli a riconoscerle, distinguerle e trovare le soluzioni, le strategie, le regole che gli consentano di utilizzare quegli stessi errori come mezzi di conoscenza.

    Ricordatevi anche di prestare attenzione al modo in cui fate notare al bambino/ragazzo di aver sbagliato. Ricordo sempre la frase che mi ha detto un ragazzino della scuola secondaria: “la mamma mi dice che faccio sempre tanti errori, ma anche lei ne fa un sacco!” Utilizzare frasi come “hai sbagliato” oppure “ma guarda che errore hai fatto” per alcuni ragazzi equivale ad essere colpiti da una freccia molto appuntita. L’autore Don Miguel Ruiz scrive “La mente di ogni essere umano è fertile, ma soltanto per i semi che è preparata a ricevere” [D. M. Ruiz, I quattro accordi]. La parola ERRORE viene talvolta caricata eccessivamente di intenzionalità poco costruttive per cui chi la riceve finisce col sentirsi sempre in difetto. Vi consiglio di porvi invece in ottica comprensiva e soprattutto costruttiva, di accompagnare il ragazzo con frasi quali “controlla meglio!”, “hai riletto con attenzione?” al fine di far decidere a loro se è un errore o uno sbaglio e di abituarli al controllo dell'impulsività, alla riflessione sulle proprie azioni, al diventare un buon osservatore, allo sviluppo del pensiero divergente e creativo.

    A cura di Vanessa Battilana


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